Italia, da un quarto di secolo aspettiamo l’introduzione del reato di tortura

Per Trento, il 26 giugno è un giorno di festa, ma è un momento da ricordare anche a livello internazionale. Questa è la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura.

Negata oltre ogni evidenza, ufficialmente vietata dalle leggi della maggior parte dei paesi, spesso persino dalle costituzioni, secondo Amnesty International la tortura è ancora praticata in oltre 140 paesi del mondo per mano delle autorità statali.

Da 25 anni, ogni 26 giugno, Amnesty International chiede alle istituzioni italiane di dare seguito agli impegni assunti dall’Italia nel 1989 con la ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, e di introdurre il relativo reato nel codice penale.

Secondo la Convenzione Onu contro la tortura:

“Il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere […] informazioni o confessioni, di punirla per un atto che […] ha commesso o è sospettata di aver commesso, […] qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale […]”.

Possiamo pensare che la tortura sia una pratica che riguarda paesi lontani. In realtà riguarda anche noi.

Federico Aldrovandi, Aldo Blanzino, Giuseppe Uva, Emmanuel Bonsu, Stefano Cucchi. Questi sono i nomi di alcune delle vittime della tortura in Italia. Federico aveva 18 anni quando è morto nel 2005, Aldo, il più anziano, ne aveva 44 e la famiglia di Stefano di 31 anni, ne piange la scomparsa da oltre quattro anni.

L’assenza del reato nel codice penale sminuisce le responsabilità penali dei colpevoli di queste morti e spesso produce la prescrizione del reato.

Forse il più chiaro esempio è la vicenda di Federico: morto nel 2005, nel 2013 i quattro poliziotti responsabili del decesso sono stati condannati a 42 mesi di reclusione, dei quali 36 scontati per indulto, per “eccesso colposo in nell’uso legittimo delle armi”. Dal gennaio 2014, tre degli assassini di Federico sono tornati in servizio, destinati a servizi amministrativi. Se la condanna fosse stata di “tortura”, forse la loro sorte sarebbe stata diversa.

Federico Aldrovandi, Aldo Blanzino, Giuseppe Uva, Emmanuel Bonsu, Stefano Cucchi. Noi ripetiamo ad alta voce questi nomi perché non vengano dimenticati, perché ci ricordino quanta strada debba ancora essere percorsa per poter dire di vivere nel nostro paese nel pieno rispetto dei diritti umani. Perché non ci siano più assassinii o sofferenze impartite da coloro che avrebbero dovuto tutelare quelle stesse vite.

Federico Aldrovandi, Aldo Blanzino, Giuseppe Uva, Emmanuel Bonsu, Stefano Cucchi. Perché a loro e a molte altre vittime della tortura, in Italia e nel mondo, è dedicato questo 26 giugno.

 

Sofia Lanzinger

 

“Tortura, 30 anni di impegni non mantenuti”: la denuncia di Amnesty

A 30 anni dall’approvazione della Convenzione contro la tortura da parte dell’ONU, la tortura, seppur proibita sulla carta, è ancora ampiamente praticata. Amnesty International negli ultimi 5 anni ha, infatti, riscontrato casi di tortura in 141 paesi del mondo.

La tortura rimane una spaventosa realtà dei nostri giorni, sommessamente giustificata dai governi in nome della lotta al terrorismo, della preservazione della sicurezza nazionale e internazionale.

Secondo un sondaggio commissionato da Amnesty a GlobeScan, il 44% degli intervistati pensa che se fosse arrestato nel suo paese, rischierebbe di essere torturato. L’82% ritiene che ci dovrebbero essere leggi rigorose contro la tortura, ma ben il 36% ritiene che la tortura potrebbe essere giustificata in alcune circostanze.

L’Italia, a 25 anni dalla ratifica della Convenzione ONU, deve ancora dare attuazione alla Convenzione, inserendo la tortura come reato nel codice penale. Solo al 5 marzo scorso risalgono, infatti, i primi risultati normativi: il Senato ha approvato un progetto di legge che qualifica la tortura come reato specifico, prevedendo l’aggravante nel caso in cui sia commesso da un pubblico ufficiale. La strada da percorrere sembra ancora lunga.

A fronte di questa situazione, il 13 maggio scorso Amnesty International ha lanciato la sua nuova campagna globale, denominata “Stop alla tortura”.

Lo sguardo di Amnesty si concentrerà su Uzbekistan, Filippine, Marocco/Sahara Occidentale, Messico e Nigeria, dove sono emerse allarmanti prove riguardanti pratiche di tortura. In questi luoghi l’organizzazione potrebbe avere un impatto sensibile, se non decisivo.

Noi, soci di Amnesty International, rinnoviamo oggi il nostro impegno accanto alle vittime di tortura. Per dire ancora una volta “Stop alla tortura”.

 Maria Cristina Urbano

 

Per maggiori informazioni sulla nuova campagna contro la tortura si veda:

http://www.amnesty.it/stoptortura

Firma anche tu gli appelli della campagna!

http://www.amnesty.it/reato-tortura-italia

http://www.amnesty.it/messico-tortura-claudia-medina