TDoR: l’espressione, il riconoscimento, la rassicurazione

Ieri, 20 Novembre, nella sala della Fondazione Caritro di Trento è stato celebrato il “Transgender Day of Remembrance” (TDoR), una ricorrenza della comunità LGBTQI per commemorare le vittime della transfobia.
In occasione del TDoR, la rete delle organizzazioni sensibili Trentino Alto Adige – Südtirol ha organizzato un incontro di presentazione del libro “Marina, noi, gli altri, gli animali” con ospite l’autrice Lucia Calzà.

Partendo dalla ricostruzione della vita di Marina (1914-1988), donna intersessuata vissuta per la maggior parte della vita in Trentino, Lucia Calzà affronta nel suo libro temi quali violenza di genere, emarginazione sociale e la lotta per il riconoscimento di genere.
Durante l’incontro, la scrittrice ha affermato che Marina librola stesura del libro si è rivelata uno strumento non solo per affrontare ed analizzare la propria esperienza, ma anche per confrontarsi personalmente con i temi trattati. “Marina” ha detto “non ha lottato, è sopravvissuta” in un epoca in cui la lotta per i diritti delle persone transessuali e intersessuali non esisteva, come non esisteva il confronto. Marina non ha mai cercato l’accettazione da parte degli altri vivendo ai margini della società perché “non voleva dare fastidio”, perché lei “non era stata fatta bene”.

La prima lotta di Lucia, invece, è stata proprio quella con se stessa, contro la fatica di accettarsi per come si è.

A continuazione, l’autrice ha sottolineato l’importanza della rassicurazione nella vita di qualsiasi persona, quella di essere riconosciuti. Perché vestirsi come una donna, che importanza ha l’aspetto? Le chiedono molti. L’apparenza non è un travestimento, ha spiegato, è l’espressione vera e sincera di come ci si riconosce, di come si vuole essere riconosciuti e l’espressione visiva della necessità di essere rassicurati e quindi legittimati dagli altri. Solo attraverso il riconoscimento del proprio genere, quello a cui ci si sente di far parte, è possibile raggiungere la serenità. Il tentativo di questo libro è quello di portare in orizzontale tutte le discriminazioni, tutte necessità di essere riconosciuti dagli altri.

Un incontro piacevole e illuminante, un positivo inizio di collaborazione con la Rete ELGBTQI* e un passo in avanti verso l’inclusione di quelle realtà minoritarie che non devono più occupare una posizione marginale nella nostra società.

Conclusioni in linea con la posizione di Amnesty International, che chiede di assicurare alle persone LGBTQI il diritto all’espressione della loro identità di genere o del loro orientamento sessuale, il diritto a una vita affettiva libera da interferenze e un equo accesso a tutti i diritti umani riconosciuti dalle convenzioni e dagli standard internazionali in materia.

Amnesty International chiede di assicurare che gli atti dello stato civile e tutti i principali documenti siano modificabili al fine di rappresentare adeguatamente l’identità di genere, e che la scelta dell’identità di genere sia garantita per ciascuno.

Amnesty Trento era presente con l’azione urgente “Macedonia: divieto di matrimoni fra persone dello stesso sesso in attesa di approvazione” (www.amnesty.it/macedonia-divieto-matrimonio-gay). AI chiede al Ministro della Giustizia macedone di bloccare l’emendamento costituzionale XXXIII che, limitando il matrimonio a coppie di sesso opposto, discrimina esplicitamente le persone LGBTQI, che vivono o vorrebbero vivere un’unione nel pieno godimento del diritto alla famiglia e ai diritti sociali e riproduttivi associati al matrimonio.

Francesca Postiglione e Sofia Lanzinger
Gruppo 150 Trento

What’s Happening in Turkey?

“Che cosa sta succedendo in Turchia?” è il titolo della serata che si è svolta venerdì 7 giugno alla Bookique, il caffè letterario di via Torre d’Augusto a Trento. Organizzato da un gruppo di cittadine e cittadini turchi, in maggior parte studenti universitari e post-universitari, l’evento voleva approfondire, al di là dalle informazioni che arrivano attraverso televisioni e giornali, le motivazioni delle proteste che in questi giorni, partendo dalla difesa del Gezi Park a Taksim nel centro di Istanbul contro la costruzione di un centro commerciale, si sono progressivamente estese a tutto il grande paese euro-asiatico, con rivendicazioni che riguardano la progressiva erosione dei diritti civili che è avvenuta durante i 10 anni del governo del primo ministro Erdoğan.

Il pubblico, formato da una trentina di giovani da Turchia, Italia, e altri paesi, ha seguito con attenzione i filmati della protesta e le interviste arrivati attraverso i canali dell’informazione alternativa e proiettati su un grande schermo nello spazio esterno del locale.

 Al di là delle immagini che testimoniano la violenta repressione della protesta da parte della forze di polizia, ha colpito particolarmente l’intervista di un giovane blogger, che esprimeva allo stesso tempo la determinazione nel continuare a denunciare l’imposizione da parte del governo di un pensiero unico basato sull’ortodossia religiosa, che progressivamente sopprime la libertà di espressione di chi non vuole omologarsi, e la paura che da un momento all’altro le forze di sicurezza potessero arrestarlo per la sua attività di denuncia. E hanno colpito anche le interviste alle persone che stanno protestando a Taksim. Sono donne e uomini comuni (studenti, impiegati di banca, operai, artisti) ben diversi dai vandali anarchici che, secondo il governo, stanno guidando le proteste per sovvertire l’ordine democratico del paese, magari al soldo di potenze straniere.

Gli organizzatori della serata hanno diffuso fra il pubblico un documento che riassume le principali richieste del movimento di protesta: fine della brutale repressione della polizia, una stampa turca libera e imparziale, e l’apertura di un dialogo fra governo e manifestanti.

Le preoccupazioni per la situazione in Turchia sono al centro di un’attivazione urgente di Amnesty International che, a seguito del brutale e senza precedenti intervento delle forze di polizia contro le persone che stanno prendendo parte alle manifestazioni in diverse città,  ha sollecitato il governo a porre immediatamente fine all’uso eccessivo della forza e ad avviare un’inchiesta indipendente e imparziale su quanto accaduto, rendendone pubblici i risultati. La petizione, che si può sottoscrivere sul sito di Amnesty Italia, è stata anche presentata dal gruppo di Trento durante l’incontro di venerdì sera, raccogliendo molte firme fra i partecipanti.

Floriano Zini

Azione Urgente per la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò (Colombia)

Il Segretariato di Amnesty International ha emesso il 27/02/2013 un’Azione Urgente a tutela della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò (Dipartimento di Antioquia – Colombia), già in passato e tuttora oppressa dalla sempre crescente presenza in zona di corpi paramilitari. Tale Comunità, fondata nel 1997, rifiuta l’uso delle armi, di prendere parte ad alcun conflitto e di fornire qualunque tipo di informazione o supporto logistico a qualsivoglia parte belligerante e chiede che il proprio territorio rimanga perciò libero da ogni scontro. Sin dalla sua nascita, essa è stata per questo vittima di violenze, omicidi, stupri e minacce, con più di 170 membri o semplici civili uccisi o scomparsi, soprattutto ad opera di gruppi paramilitari e con la connivenza delle forze governative. La situazione si è ultimamente ancora aggravata a seguito di minacce (che preannunciavano un nuovo massacro, con obiettivi primari i leader), dopo che un tribunale amministrativo ha ordinato allo Stato colombiano di chiedere scusa ai membri della Comunità per la sua partecipazione ad un massacro avvenuto nel 2005, in un’operazione congiunta tra esercito e forze paramilitari, a seguito della quale otto persone, tra le quali quattro bambini, erano state uccise.

L’appello che vi chiediamo di sottoscrivere, rivolto al Presidente della Repubblica colombiana, Juan Manuel Santos (e che verrà inviato anche al Ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzòn e alla Comunità), esprimendo forte preoccupazione per quanto sopra, chiede

  1. che vengano ordinate indagini esaurienti ed imparziali sulle minacce e sulla crescente presenza di paramilitari nella regione,

  2. che sia adottata ogni misura adeguata al loro smantellamento e allo scioglimento di ogni collegamento con le forze di sicurezza (in accordo con gli impegni assunti dal Governo e con le raccomandazioni espresse dall’ONU e da altre organizzazioni intergovernative)

  3. che siano resi pubblici i risultati

  4. ed affidati alla giustizia i responsabili.

Aiutiamo la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò firmando
l’appello disponibile in questo link di Amnesty International

Vi preghiamo di stamparlo, firmarlo ed inviarlo ai tre indirizzi riportati nel documento.

 Francesco Bridi

Referente America Latina – Gruppo 150 Amnesty Trento