Mare Deserto, intervista con Emiliano Bos, co-autore

Emiliano Bos, giornalista: vive a Milano e lavora presso la Radiotelevisione Svizzera. A Trento per la proiezione del film documentario “Mare Deserto”, lo abbiamo intervistato.

Essere giornalisti oggi: cosa vuol dire, di cosa è fatto il tuo mestiere?

Di due aspetti: le mie curiosità, e chi mi manda a svolgere un lavoro. Come con Haiti dopo il terremoto: lì mi sono reso conto nessuno sapeva nulla di quello che era successo in questo paese fino a un minuto prima del disastro. Quella storia si è materializzata e sbriciolata nello stesso momento – e io dovevo capire come raccontarla attraverso la radio.

Un mestiere che comporta delle responsabilità.

Siamo il tramite: dobbiamo raccontare, in modo serio e documentato, realtà di cui altrimenti si parlerebbe poco. In un campo profughi dello Yemen non ci vanno in tanti, bisogna capire come raccontare le persone che incontri, queste esistenze parcheggiate in un luogo dimenticato da tutti a 150 km dalla città più vicina. Non è semplice.

La scelta delle parole da usare diventa importante, così come contestualizzare le notizie.

Chiaro. Ad esempio, quando dico immigrato illegale dovrei anche spiegare perché lo è. Certo, ci sono delle regole e se uno le viola è giusto che paghi. Ma se il mio paese si chiama Somalia ed è da vent’anni che non esiste l’anagrafe, sono scappato e per arrivare qui ho attraversato un pezzo di deserto non posso essere cacciato perché non ho una carta.

Come mai l’interesse le migrazioni?

Le vedo come una sorta di ingiustizie planetarie. Ad esempio: nel 2009 sono stato a Calais, nel nord della Francia, dove c’è un grande campo di rifugiati afgani. È un confine interessante, l’uscita di sicurezza dall’Europa e la porta di accesso alla Gran Bretagna. Ho incontrato tante persone e ho raccolto le loro testimonianze. Il filo conduttore è emerso quasi da solo – e ne è uscito un libro.

Storie un po’ fuori dalla cronaca.

Ogni tanto è necessario fermarsi e uscire dal mainstream dell’informazione, raccontare qualcosa che non passa in questo flusso.

Come con il documentario.

L’obiettivo era narrare un caso specifico e portare alla luce una situazione che negli anni ha riguardato migliaia di persone. Il mio desiderio nel rintracciare i superstiti era anche la consapevolezza rispetto a tutti gli altri che non hanno nome, volto, e non compariranno in nessuna inchiesta. Di loro resta solo un elemento certo: le famiglie lasciate nel momento della partenza.

Che risultati ci sono stati?

Sia noi che il Guardian abbiamo condotto delle inchieste parallele e messo il materiale a disposizione di una senatrice olandese che ha stilato un rapporto per il Consiglio d’Europa. Ad aprile 2012 questo è stato approvato, ed è stata data carta bianca nel proseguire con le indagini. Il rapporto è stata una buona occasione per fare il punto sugli errori e chiarire alcune responsabilità su questo caso specifico. Si riconosce che ci sono stati una serie di errori nell’assistenza ai migranti e che il dramma dell’attraversamento del Mediterraneo non è affrontato nel migliore dei modi.

Pubblicato originariamente nel numero di Vita Trentina con data 3 marzo 2013

Novella Franceschini

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>